In occasione dei 900 anni dalla dedicazione della cattedrale di
Parma, il Salone delle Scuderie in Pilotta in
Parma, dal 9 aprile al 16 luglio 2006 propone
“Il Medioevo delle cattedrali”, la grande
mostra sulla architettura, scultura, pittura, mosaico, miniatura,
oreficerie della cattedrali fra secolo IX e secolo XII.
L’esposizione curata da Arturo Carlo Quintavalle riunisce
eccezionalmente a Parma una sequenza straordinaria di oltre
100 capolavori, molti dei quali mai usciti dalle loro sedi
e non pochi del tutto inediti. Ad essere così
intensamente rappresentata è la storia di una
doppia generazione, quella a cavallo fra secolo XI e
secolo XII, le generazioni che portarono
avanti la Riforma Gregoriana, la più grande trasformazione
di modelli e di racconto della Chiesa di Roma.
Di Wiligelmo e dei suoi immediati seguaci, la mostra
allinea ben 11 opere che vengono da Modena, da Cremona, da
Milano. Accanto ad esse, le sculture di Niccolò che
vengono da Piacenza, da Ferrara, e ancora decine e decine di pezzi
di scultura monumentale che sono state prestate dai maggiori Musei
Civici e Musei Diocesani dell’intero settentrione, da Pavia a
Como, da Milano a Bobbio, a Ferrara, a Brescia. Intorno a queste
intense sculture, la mostra propone raffinati esempi di pitture,
mosaici, manoscritti oreficerie.
Arrivano alla mostra una ventina di
pezzi di età carolingia, che provengono da Torino e
da Milano, da Bobbio e da Modena e da Como permettendo di
ricostruire la prima grande trasformazione delle chiese
paleocristiane, con l’invenzione di un nuovo arredo,
costruito da intrecci finissimi, da un racconto fatto di
proporzione, di geometria, di rapporti spaziali, un racconto senza
figure. Fra i pezzi di grande rilievo alcuni che provengono da
Bobbio, nel IX secolo ancora il maggiore monastero al settentrione,
e molti altri che permettono di ricomporre una immagine degli spazi
interni delle chiese e dei percorsi interni a questi per i
religiosi e per i fedeli.
Poi la grande rivoluzione che in mostra comincia con due
grandi affreschi staccati provenienti da Sant’Antonino a
Piacenza, che si datano attorno al 1020,
e una serie di altri pezzi attorno al medesimo periodo. Viene
quindi il nodo della mostra, quel tempo fra l’ultimo terzo
dell’XI secolo e il primo del seguente, il tempo in cui si
confrontano due storie, due modi di scolpire e di raccontare. Da
una parte ecco Wiligelmo e la sua officina che lavora per circa
trenta anni da San Benedetto Po e Nonantola, Modena, Cremona e in
parte a Piacenza; di Wiligelmo giungono pezzi di grande
qualità, come la Madonna di Carpi, come lo stipite del
portale proveniente da Cremona, come il telamone sempre da Cremona
e conservato a Milano al Museo del Castello Sforzesco. Dopo
Wiligelmo le opere dell’architetto e scultore Nicholaus che
è attivo fra l’altro a Piacenza, a Verona, a Ferrara e
del quale arrivano in mostra pezzi importanti come i profeti di
Piacenza, forse da un portale del Duomo, le lastre delle transenne
di Ferrara ed altro ancora. Domina la scena di questa grande
cattedrale della Riforma, il Crocefisso di San Savino,
un’opera unica che propone la lingua nuova, mediata anche
dagli avori spagnoli, ma che è la lingua della Riforma, il
Cristo che guarda, vivente, dalla croce i fedeli.
Di fronte a tutto questo ecco la grande stagione della
Lombardia, che allora era tutto il settentrione, ma una
Lombardia che piega, con Pavia, con Como verso l’impero, e
dunque che utilizza una iconografia diversa: invece della
evocazione del mondo classico che per la committenza di Wiligelmo
rappresenta la identità della Chiesa Riformata con quella
cristiana delle origini, ecco gli animali che si rincorrono nel
tralcio, ecco un bestiario che si diffonde sui capitelli, sugli
archivolti, sulle finestre del Sant’Abbondio e del San Fedele
a Como oppure dentro il San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia
oppure al San Celso e al Sant’Eustrogio di Milano, un
bestiario che caratterizza anche le sculture della prima parte,
quella absidale e del transetto della cattedrale di Parma. Siamo
dunque fra il 1090-1100 e il 1115 circa e le decine di pezzi di
scultura monumentale esposti propongono una chiesa diversa, dove
alcuni capolavori si impongono come il pulpito da Santa Maria
Beltrade, che probabilmente si data a fine XI secolo o inizi
XII come il pulpito di San Giulio d’Orta. Attorno a questi
pezzi che delineano la storia delle città e delle loro
cattedrali o delle loro principali chiese in Lombardia ecco un
altro nodo che dimostra se ve ne fosse bisogno che cosa vuol dire
il confronto fra prima e dopo la Riforma. Bologna è uno
strano caso, una singolare città nella quale fino agli anni
’90 e anche oltre del secolo XI si confrontano un vescovo
legato al papato di Roma e un altro legato a Guiberto, vescovo di
Ravenna divenuto antipapa. Così i pezzi degli anni ’90
evocano essi pure il paleocristiano e in mostra si vedrà una
lastra proveniente dal Museo Civico, mentre gli altri pezzi
neo-paleocristaini sono al Duomo di Bologna e ai Santi Vitale
e Agricola sempre a Bologna; ma quando Bologna entra nel clima
della Riforma ecco che viene chiamato un grande scultore, proprio
Nicholaus che realizza un grande portale del quale in mostra
proponiamo quattro grandi lastre di recente ritrovate e che in
questa occasione vengono attribuite proprio a Nicholaus stesso e
datate attorno al 1120-1130.
Il racconto della mostra si articola in un sistema complesso di
settori, come quello dei manoscritti prestati da diverse
biblioteche, pezzi importantissimi e chiavi narrative per
comprendere il senso della Riforma, come le Bibbie
Atlantiche che diffondono l’ordine dei libri della
Bibbia e il testo scritto in carolina e le immagini dei canoni
pensati come grandiose, sospese architetture, e le iniziali a
intreccio animate da figure e animali che diventeranno un luogo
comune dell’intero racconto del romanico in scultura. E con i
codici alcune oreficerie come quelle prestate dai Musei Civici di
Brescia, Bologna e Milano, che delineano un percorso dal secolo XI
alla metà del secolo XII e che testimoniano, come per
esempio il candelabro di Frassinoro (Modena) i rapporti con la
Francia, esattamente come alcuni avori sono bizantini mentre altri
sono legati alla riforma Gregoriana e vengono da un ambito
salernitano.
L’esposizione è accompagnata da un sistema di oltre 40
pannelli narrativi che illustrano le tecniche del lavoro medievale,
dai metalli alle costruzioni, e quindi analizzano le architetture
di ciascuna delle chiese entro le quali i pezzi scolpiti si
conservavano in origine, ancora da pannelli che analizzano i temi
del minio e quelli della oreficeria, della pittura e della scultura
con riferimenti a monumenti scomparsi o comunque lontani. Il
quadro che viene proposto fa perno su oltre 100 opere esposte in
mostra nello spazio della Pilotta e alcune decine di altre esposte
nelle sedi distaccate della mostra e che sono il Museo Diocesano in
piazza Duomo a Parma e la Galleria Nazionale.
La mostra, curata da Arturo Carlo Quintavalle, è
accompagnata da un catalogo di oltre 500 pagine in
quarto, e si avvale dei contributi di illustri storici
dell’arte italiani e stranieri, da Manuel Castineiras
Gonzales a Xavier Barral Y Altet, da Francesco Gandolfo ad Arturo
Calzona. Le schede delle opere sono state scritte per la gran parte
da un gruppo di studiosi, dottori di ricerca, specializzati e
dottorandi della classe dei Beni Culturali
dell’Università di Parma e di quella di Roma 3.