Storia |
La collezione libraria degli Estensi è nata con la famiglia principesca e ne ha sempre seguito le vicende. Costituita da un numero ragguardevole di miniature e di opere di interesse letterario, storico e artistico fin dall'epoca del marchese Niccolò III, è stata poi impreziosita dai fasti rinascimentali di Leonello, Borso, Ercole e Alfonso, che l'hanno accresciuta di importantissimi manoscritti e di pregevoli edizioni a stampa. In seguito alla convenzione faentina, con la quale gli Estensi cedettero Ferrara al Pontefice, la Biblioteca venne trasferita dal castello di Ferrara a Modena, divenuta capitale nel 1598. Nonostante le notevoli perdite subite a causa del trasferimento, già nel Seicento il patrimonio dei duchi riprese a consolidarsi, grazie a rinnovati acquisti ed incrementi. In seguito, soprattutto dalla fine del Settecento, il nucleo originario si arricchì dei cospicui fondi manoscritti e soprattutto a stampa provenienti dalle soppressioni religiose. Per volontà ducale tutto il complesso librario era affidato alle cure di un dotto, esperto e fidato, e risale agli ultimi anni del Seicento il primo vero ordinamento bibliografico, con i volumi contrassegnati da un codice alfanumerico, corrispondente alla voce in catalogo. Tra i primi a inaugurare la serie mai interrotta dei bibliotecari è stato, dal 1677 al 1686, Giovanni Battista Boccabadati, insigne scienziato, giurista e letterato che prestò servizio presso la corte, oltre che in qualità di bibliotecario, anche come ingegnere degli stati estensi. Nel secolo successivo, l'incarico venne affidato anche ai due grandi eruditi Ludovico Antonio Muratori e Girolamo Tiraboschi che, con la loro sapiente gestione, acquisirono le più importanti pubblicazioni a stampa e i più preziosi manoscritti che comparivano sul mercato europeo. Nella seconda metà del Settecento, l'azione del duca Francesco 3. condizionò lo sviluppo e il carattere della biblioteca, che egli volle rendere pubblica con solenne cerimonia nel 1764, e alla quale affiancò nel 1772 la biblioteca dell'Università, con i suoi pregevoli nuclei filosofici, giuridici e scientifici. Dopo l'unificazione d'Italia i due istituti si fusero, dando vita a quella che oggi è la Biblioteca Estense Universitaria: un istituto cardine per la storia della cultura, grazie ai suoi preziosi fondi manoscritti, e uno specchio del divenire della città. Oltre alle antiche raccolte, essa offre agli utenti aggiornate edizioni scientifiche, letterarie, giuridiche e storiche, una vasta emeroteca, le pubblicazioni dello Stato italiano, fra cui le gazzette ufficiali, e una mostra permanente di codici e libri rari. L'eredità ducale si esprime soprattutto attraverso l'antico nucleo di manoscritti, fra cui esemplari di dedica miniati, preziose miscellanee filosofico-scientifico-letterarie, documenti autografi dei personaggi gravitanti intorno alla corte, pregevoli esemplari dell'antica arte della stampa. La qualificano inoltre una straordinaria raccolta musicale e una cartografica. Per evocare in qualche modo la temperie culturale di quella Corte basta ricordare che vi dissertavano filosofi neoplatonici, vi operavano artisti delle più avanzate scuole pittoriche, architetti straordinari come quel Biagio Rossetti che ridefinì in chiave rinascimentale la città antica, e vi elaborarono i loro capolavori Boiardo, Ariosto e Tasso. Da un simile crogiuolo uscirono prodotti bibliografici straordinari di cui sono sopravvissuti significativi esemplari. Da un lato si può evincere dallo splendore delle miniature e nella varietà tipologica di mani e di stili il profondo e sconfinato interesse artistico, talora espresso attraverso i media religiosi, talaltra scaturito direttamente dalla curiosità culturale, letteraria, scientifica e filosofica. Ecco così i monumenti della miniatura estense, la Bibbia di Borso, la Genealogia dei principi d'Este, il Messale di Borso, il Breviario di Ercole, il De Sphaera, la Carta del Cantino, e la parte rimasta in Estense dei codici dedicati ai duchi, dal Libro del Salvatore di Candido Bontempi alle odi epitalamiche e ai trionfi.... L'interesse che si concentra forzatamente sulle miniature, per la leggiadria e spesso per la vera e propria spettacolarità dei risultati offerti, non deve far dimenticare quale fucina operosa e geniale di pensiero si aggregasse attorno alla corte ducale. In questo caso non già dalle "illuminate carte" ne escono le conferme, ma da codici apparentemente dimessi, spesso legati in miscellanee, che, opportunamente studiati, offrono lo spaccato di quanto fosse profonda e rigorosa la speculazione teologica, filosofica, religiosa e letteraria, così a corte come presso l'ateneo, voluto e favorito dai duchi stessi. Le tesi di Marsilio Ficino, le dissertazioni giuridiche di Domenico Bianchelli, gli studi astronomici e astrologici di Pellegrino Prisciani, di Guido Bonatti, cui si affianca la dottrina degli stranieri Johannes de Sacrobosco e del Puerbach, registrano quelle tensioni del pensiero che hanno fatto di Ferrara una delle aree privilegiate del Rinascimento italiano ed europeo. A tutto questo si aggiunge una fervida vita musicale imperniata sulla Cappella ducale, nonché sul Concerto delle Dame di Alfonso 2., e ancor oggi testimoniata dai grandi codici di polifonia sacra e dalle antologie di madrigali. Oltre alle opere prodotte all'interno del ducato, gli Estensi cominciarono assai presto a porsi come insaziabili collezionisti librari. Dalle più qualificate e disparate sedi del pensiero, Milano, Venezia, Padova pervenivano ai duchi le segnalazioni per acquisti prodigiosi, quali furono i codici corviniani, miniati nel laboratorio fiorentino di Attavante per Mattia Corvino re d'Ungheria, procurati da Girolamo Falletti ad Alfonso 2.; i testi greci di Giorgio Valla e di Alberto Pio; i preziosi repertori di musica quali il codice che raccoglie le tradizioni italiane e francesi di fine Tre e primo Quattrocento, l'alfa.M.5.24, e la raccolta di strambotti tardo cinquecenteschi nel piccolo codice finemente miniato alfa.F.9.9. A Ferrara la biblioteca era ospitata sontuosamente nel castello e tutta una variegata officina di trascrittori, miniatori e artigiani cooperavano per scegliere le pergamene più preziose, per ripulirle e per conferir loro l'aspetto più raffinato onde riempirle di quei colori ancor oggi smaglianti. Nelle filze dell'Archivio di Stato di Modena permangono le documentazioni di questo fervido adoprarsi, le bollette degli addetti alla Torre (l'antica sede della biblioteca), i pagamenti ai miniatori, ai trascrittori, ai legatori, le prime forme di registrazione e di inventariazione. Una preziosa messe di notizie che spesso consente, pur con le lacune massicce intervenute nei secoli, di riannodare i fili delle vicende bibliografiche estensi. Anche ben dopo il trasferimento della capitale da Ferrara a Modena nel 1598 l'orientamento della biblioteca continuò ad essere rivolto all'ampliamento dei fondi storici, letterari, filosofici ed anche scientifici, con un occhio di riguardo alla storia locale. Il Seicento è stato a lungo sottovalutato per quanto concerne la gestione della biblioteca ducale, che subì per alcuni decenni le conseguenze del trasporto forzoso da Ferrara a Modena. Ma non passò lungo tempo che anche nella città geminiana essa fu alloggiata con lo sfarzo e la dignità che le competevano. Grandi sale del nuovo palazzo ducale ideato dall'Avanzini furono riservate agli scaffali dei libri, alle curiosità e preziosità naturali e artificiali che in breve tempo avrebbero assunto l'aspetto di una Wunderkammer, connessa in seguito ad un gabinetto di strumenti scientifici e ad un altro di medaglie.
Studi recenti, in buona parte scaturiti dalle celebrazioni di "Modena Capitale", hanno gettato luce nuova su tale periodo, in cui la biblioteca si inserisce nel contesto cittadino con un peso vieppiù crescente, identificata dalla cittadinanza quale luogo privilegiato per la gestione dei rapporti e degli orientamenti culturali, strettamente collegata alla presenza dei circoli letterari e delle accademie che si andavano formando, nonché alle attività editoriali e di giornalismo letterario. Ciò vale per l'intero arco delle discipline, non esclusa la musica che, raggiunto il massimo livello per l'impulso dato da Francesco 2., si espresse sia nella produzione sacra e profana della Cappella ducale sia nella rappresentazione di oratori e opere sia nelle grandi feste di eredità ferrarese. In biblioteca è cospicuo il riflesso di tutte queste copiose attività, integrato anche da ampio materiale esterno che rivela un interesse a tutto campo. È con la fine del secolo 18. che, con l'apporto del Cantelli, del Bacchini, del Boccabadati, si apre la stagione splendida dei grandi bibliotecari, culminata nel corso del Settecento con le gestioni di Muratori, Zaccaria e Tiraboschi. Nella seconda metà del secolo gli incameramenti delle raccolte librarie conventuali diedero un impulso di elevatissima qualità alle collezioni già esistenti: venne acquisito il patrimonio dei gesuiti, dei benedettini, dei teatini e dei minori osservanti. L'accurata selezione degli immensi nuclei librari venne affidata all'esperienza e alla sagacia dei grandi bibliotecari, primo fra tutti Tiraboschi. Nel periodo del governo austro-estense a Modena la cura per le raccolte librarie non diminuì, anzi, continuarono ad entrare fondi di grande prestigio, tra i quali spiccano la raccolta Obizzi del Catajo, ricca di miniature preziose e dei codici liturgici olivetani, e i molti carteggi ed epistolari che divennero in breve volger di anni lo strumento più prezioso e diretto della ricerca, fonte immediata e registrazione "a viva voce" della temperie del periodo. Ci si riferisce ai carteggi del Bacchini, del Tiraboschi, del Muratori, del Cavedoni, del Baraldi e a quelli di molti scienziati, quali Giuseppe Bianchi, Giovanni Battista Amici, Geminiano Rondelli... Furono numerosi anche i lasciti che continuarono a pervenire all'Estense, anche attraverso le alterne vicende politiche, sempre più configurando l'istituto come la sede privilegiata del ricordo. Durante la sovranità di Francesco IV, risulta peculiare l'arricchimento dei fondi anche con le private elargizioni del sovrano che dispose il trasferimento di sue proprie eredità, quali quelle provenienti dagli Obizzi o dall'Arciduca Massimiliano (ricca di fonti musicali tardo settecentesche di produzione mitteleuropea), alla pubblica biblioteca. In periodo già postunitario basterà fare il nome del deposito Campori per suggerire la portata di queste accessioni, ormai viva e indispensabile parte della biblioteca stessa. Anche il Novecento ha contrassegnato l'istituto con reiterate preziose acquisizioni, dall'Archivio Editoriale Formiggini alla raccolta Bertoni, dalla raccolta Ferrari-Moreni a quella di Albano Sorbelli: tutti patrimoni che hanno via via integrato le raccolte locali arricchendone al contempo la valenza culturale e sottolineando lo strettissimo radicamento dell'istituto sul territorio. Nel 1772, il Duca Francesco 3. aveva riaperto l'Università e l'aveva contestualmente dotata di una biblioteca soprattutto di carattere filosofico-medico-matematico. Questo nucleo originario si andò via via arricchendo delle pubblicazioni dell'Università stessa, delle lezioni accademiche, delle prolusioni dei vari docenti e delle loro private collezioni, arrivando a configurare una raccolta di tutto rispetto, che anche dopo essere stata incamerata dall’Estense, dopo l'unità d'Italia, mantenne per molti anni una sua fisionomia, ad esempio operando nel settore degli acquisti in modo autonomo e differenziato, orientandosi verso opere scientifico-giuridiche o comunque in adozione presso le facoltà universitarie cittadine. Nel loro insieme dunque Biblioteca Estense e Universitaria hanno formato un compatto strumento di cultura, di stimolo e di sviluppo della realtà cittadina, pur mantenendo, assurdamente, una duplicità amministrativa e gestionale. Solo con il nuovo Regolamento generale del 5 ottobre 1995 si è superata questa contraddizione, confermando l'unicità di un istituto che, proprio da questa sua interdisciplinarietà, mutua una concezione universalistica. |