Tra i pittori che Michelangelo Buonarroti il
Giovane - pronipote del grande Michelangelo - chiamò a
decorare la casa di famiglia in via Ghibellina a Firenze, una
personalità da riscoprire è senza dubbio quella del
fiorentino Fabrizio Boschi (1572-1642), incaricato nel 1615 dal
padrone di casa di realizzare uno dei pannelli parietali della
'Galleria' al piano nobile del palazzo, raffigurante Michelangelo
che presenta a papa Giulio III il modello ligneo del Tribunale di
Ruota in via Giulia a Roma. All'apice della carriera, cominciata
ben presto con il Passignano e perfezionatasi a Roma, nel fervido
clima intellettuale e artistico di fine Cinquecento, il Boschi
produsse qui un capolavoro di equilibrio compositivo e cromatico,
caratterizzato da una pennellata corposa, materica, mediata sia dal
Cigoli, sia da Rubens, con i quali il nostro artista era venuto in
contatto al tempo dell'esperienza romana.
Sontuosità di pennello ed eloquio narrativo sostanziano
comunque tutta l'opera del Boschi già a partire dalle prove
licenziate prima del soggiorno nell'Urbe, come la pala di San
Barnaba a Firenze; ma con il rientro nel 1606 nella capitale
granducale l'artista vi importa una nuova grandiosità
compositiva che, abbinata a potenti contrasti luministici e a
caricati effetti espressivi, fa intuire l'avvenuta assimilazione
dell'opulento linguaggio rubensiano e del naturalismo di
Caravaggio, qualificando il Boschi, come ben sintetizzato
già da Mina Gregori nel 1962, un vero e proprio pittore
'protobarocco'.
Su questa linea di solennità
drammatica si modulano molte delle opere - in gran parte inedite -
del primo decennio del Seicento, mentre nel successivo l'artista,
ben inserito nel giro delle committenze cittadine, smorza
gradualmente certe forzature naturalistiche in favore di una
narrazione più piana, fiorentina, pur non rinunciando alla
monumentalità delle figure, di una pienezza fisica ancora
una volta pre-barocca.
Eccezionale disegnatore - nella migliore
tradizione locale - quale ce lo consegna un corpus imponente per
numero e, soprattutto, per qualità, il Boschi elaborò
con gran cura le proprie opere, dimostrando, anche nel mezzo
grafico, una versatilità non ordinaria, che lo portò
a sperimentare tutte le tecniche allora in uso - dalla matita alla
penna, dall'acquerello al carboncino, al pastello o al gessetto -
grazie alle quali ottenere studiati effetti volumetrici e di
chiaroscuro.
Con l'aprirsi del terzo decennio e per tutto
il successivo, ricchi di opere e commissioni prestigiose, lo stile
del Boschi, si tratti di affreschi o di lavori su tela e su tavola,
non perde in eloquio narrativo, arricchendosi di una tavolozza
varia e colorata, di un'attenzione ai dettagli - oggetti o stoffe -
che rivela la sintonia artistica con maestri più giovani
quali Giovanni Bilivert, Matteo Rosselli e i loro scolari.
In questo periodo, la pittura del nostro
subisce anche significative mutazioni morfologiche che interessano
le figure, sempre più allungate e sinuose, eleganti
nell'incedere falcato e maestoso, bellissime nella solarità
dei volti; e presaghe, nel loro giganteggiare nello spazio
atmosferico, delle più moderne istanze cortonesche, ma in
anticipo su quelle penetrate con decisione a Firenze soltanto alla
metà del quarto decennio del Seicento.
La mostra, curata da Riccardo Spinelli,
studioso specialista del Seicento fiorentino, si inserisce nel
solco delle iniziative culturali di Casa Buonarroti finalizzate
alla riscoperta di quei pittori del XVII secolo che lavorarono per
Michelangelo il Giovane (Artemisia Gentileschi, Cecco Bravo), e
vuole illustrare la parabola figurativa di Fabrizio Boschi dagli
inizi dell'attività (con dipinti databili alla fine del
Cinquecento), sino alla fine della carriera, presentando una
campionatura significativa dell'attività del pittore e, al
contempo, per mezzo dei disegni, documentare opere intrasferibili
(quali gli affreschi), altre disperse, altre ancora ricordate dalle
fonti.
Il piano della mostra prevede la presenza di
circa 20 dipinti su tavola e su tela (in gran parte sconosciuti), e
di una cospicua selezione di disegni, la maggior parte dei quali
ugualmente inediti.
In questa occasione si vuole insomma
restituire all'artista il ruolo che gli compete nella cultura
figurativa fiorentina dei primi decenni del Seicento, nella quale
il Boschi fu indiscusso protagonista, precoce interprete del
più moderno linguaggio barocco, intelligentemente virato in
chiave locale, e soprattutto artefice di "belle idee" espresse con
"nobiltà di maniera", come ebbe a dire di lui il biografo
Filippo Baldinucci.