
Il ponte Vrbanja, sul fiume Miljacka, a Sarajevo, è il luogo simbolo della tragedia bosniaca e il luogo dove, il 3 ottobre 1993, si compiva il destino di Moreno «Gabriele» Locatelli.
Quattro attivisti dell’associazione Beati i costruttori di pace avevano deciso di attraversare il «ponte della morte», prima linea del fronte al centro di Sarajevo, con l’intento di protestare contro l’indifferenza dell’Occidente e rompere simbolicamente l’assedio della città.
Sebbene lucidamente contrario all’azione, Moreno Locatelli aveva all’ultimo momento scelto di partecipare all’avventura che non condivideva per soccorrere, se ve ne fosse stato bisogno, chi sapeva sarebbe stato abbandonato dagli altri.
Toccò a lui essere ferito a morte e venne di fatto abbandonato dai compagni.
Quella vicenda, all’apparenza minore contro lo sfondo immane del conflitto più sanguinoso in Europa dalla seconda guerra mondiale, indagata e ricostruita in un libro e in un film da chi non si è rassegnato alla tesi di un mero incidente in zona di guerra, svela altro.
Un volto inedito dell’assedio di Sarajevo segnato da inconfessabili segreti, da un intrigo di interessi delittuosi, da una cortina internazionale di ipocrisia e menzogna e dalla falsificazione eretti a prassi, a conferma dell’antico detto balcanico che “sotto ogni verità si nasconde sempre un’altra verità”.